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Aquileia, le grandi terme svelano due settori inesplorati

Un vasto settore con vasche, mosaici e fontane e un’ampia area destinata ai bagni di acqua calda portati alla luce nelle ultime ricerche dell’Università di Udine

28 novembre 2022

Due nuove “perle” delle Grandi Terme romane di Aquileia, costruite nella prima metà del IV secolo d.C., sono state portate alla luce negli ultimi scavi fatti dalla missione archeologica dell’Università di Udine nell’area. Si tratta di un vasto ambiente che ospitava grandi vasche, mosaici e fontane e di un’ampia area dell’abside (ambiente semicircolare) del calidarium, la zona destinata ai bagni in acqua calda. Le indagini si sono concentrate in due settori del grande edificio termale: quello a sud est, dove lo scavo prosegue da alcuni anni, e quello a ovest, in un settore nuovo, nell’area degli ambienti riscaldati.

Le ricerche sono state condotte su concessione ministeriale, in accordo con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia-Giulia e in collaborazione scientifica con Cristiano Tiussi, direttore di Fondazione Aquileia, che ha assicurato il sostegno economico allo scavo.

Il cantiere-scuola

La campagna di scavi è stata condotta, a settembre e ottobre, da un gruppo di ricerca del dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale, diretto da Matteo Cadario, coadiuvato da Marina Rubinich. Alle ricerche hanno partecipato 25 studentesse e studenti dei corsi di laurea triennale, in Beni culturali, e magistrale, in Archeologia e Culture dell’antichità, e della Scuola interateneo di specializzazione in beni archeologici. “Tutte le attività di scavo, documentazione e lavaggio dei materiali – sottolineano Cadario e Rubinich – sono state svolte anche allo scopo di preparare al meglio i futuri archeologi ad agire in un cantiere”.

Vasche e fontane

Nel settore nord-orientale è stato messo in luce un ambiente di oltre 200 metri quadrati che, nella prima fase delle terme (IV secolo d.C.), ospitava grandi vasche e forse fontane. L’elemento più impressionante è la poderosa fondazione dell’ambiente in calcestruzzo e grossi frammenti di colonne reimpiegate, prevalentemente in marmo cipollino. Sulla struttura, spessa oltre un metro e 60 centimetri, poggiavano vari strati di mattoni intorno a una vasca circolare di otto metri di diametro. Vasche, nicchie e pareti dovevano essere decorate con tessere musive in vetro colorato e lastre sagomate di marmi pregiati, i cui resti si trovano nei riempimenti della fase successiva.

Tra la fine del IV e gli inizi del V secolo, infatti, la vasca circolare fu colmata e l’ambiente ricoperto da un mosaico a grandi tessere con un reticolo di quadrati contenenti grandi fiori stilizzati. Si creò così un nuovo vano rettangolare, lungo 15 metri, che fa parte di una importante ristrutturazione non solo di questo lato nord, ma anche di quello sud, a ben 140 metri di distanza.

Le sistematiche spoliazioni delle strutture murarie condotte a partire dal tardo Medioevo hanno asportato tutti i muri fino a notevole profondità, rendendo molto difficile la lettura delle diverse fasi. Tuttavia, qualche raro documento dell’antico lusso dei frequentatori delle Grandi Terme si è salvato. Tra questi un grano di collana in vetro a stampo con una minuscola testina femminile databile, per la sua acconciatura, al III secolo d.C., rinvenuto proprio in uno di questi riempimenti. Lo scavo in quest’area è stato guidato da Marina Rubinich, con il supporto di un piccolo nucleo di professionisti, studenti e specializzandi affidato a Luciana Mandruzzato.

Il calidarium

Nel nuovo scavo nel settore occidentale, che ha interessato un’area di circa 150 metri quadrati, è stata messa in luce quasi completamente l’ampia abside del calidarium, la parte delle terme destinata ai bagni in acqua calda e di vapore, con cui l’edificio si concludeva. Dell’abside dissestata dai crolli delle volte e priva del muro di fondo asportato successivamente, si conserva la massiccia preparazione del pavimento, caratterizzata dall’inserimento di centinaia di lastrine in marmi colorati. L’identificazione del calidarium è assicurata dalla presenza del doppio sistema di riscaldamento a ipocausto (pavimento sopraelevato sostenuto da pilastrini lapidei) e a parete (intercapedine formata da grandi tubuli fittili rettangolari). Entrambi erano alimentati dalla circolazione di aria calda proveniente dai forni.

Intorno all’abside è stata poi riconosciuta la presenza di una piattaforma in laterizi, ampiamente spoliata, pertinente ad ambienti di servizio, tra cui almeno due praefurnia (i forni dove si bruciava la legna), gli imbocchi dei quali sono stati parzialmente messi in luce. La presenza di spessi livelli di bruciato nell’ipocausto e il deterioramento dei pilastrini dovuto al forte calore dimostrano che il calidarium è stato utilizzato a lungo. E questo nonostante le dimensioni e gli alti costi del suo funzionamento, il che costituisce un’ulteriore prova della vitalità dell’Aquileia tardoantica. Lo scavo nell’area, organizzato come cantiere-scuola, è stato eseguito da Chiara Bozzi e Federica Grossi, sotto la diretta supervisione di Matteo Cadario. “La scoperta dell’abside – spiega Cadario, docente di archeologia classica – consentirà in futuro di allargare lo scavo allo scopo di mettere in luce integralmente l’area riscaldata dell’edificio”.

“Le Grandi Terme con la loro imponenza rappresentavano un tratto distintivo della grandezza di Aquileia in età imperiale – spiega la Soprintendente del Friuli Venezia Giulia, Simonetta Bonomi –. Indagarne i resti e comprenderne lo sviluppo funzionale e costruttivo, come sta da tempo facendo l’Università di Udine, costituiscono sia una meritoria e importante impresa scientifica sia il presupposto imprescindibile per una futura valorizzazione”.

“I risultati dello scavo delle Grandi Terme sono per la Fondazione Aquileia – sottolinea il direttore, Cristiano Tiussi – di grande importanza perché la prospettiva della valorizzazione di questo straordinario ed enorme edificio dovrà rappresentare, per tutti noi, una sfida ineludibile in un futuro non troppo lontano”.

L’Università di Udine ad Aquileia

La presenza dell’Ateneo friulano alle Grandi Terme è ormai consolidata da due decenni e nelle campagne di scavo annuali si sono formati oltre 600 studenti di archeologia. Dal 2016, anno della prima concessione di scavo dal Ministero, allora dei beni e delle attività culturali, fu avviata una nuova e proficua collaborazione con la Soprintendenza e la Fondazione Aquileia, che aveva appena acquisito l’area in gestione.

Storia e caratteristiche dell’edificio

Le Grandi Terme di Aquileia, o Thermae felices Constantinianae, come sono chiamate nell’iscrizione di una base di statua di Costantino rinvenuta nell’area, furono costruite (o completate) per volontà di Costantino stesso nel corso dei primi decenni del IV secolo d.C. Allora Aquileia era uno dei porti principali del Mediterraneo e ospitava spesso l’imperatore. La loro collocazione nella zona sud-occidentale della città, nella località detta poi Braida Murada adiacente a Via 24 Maggio, tra l’anfiteatro e il teatro, suggerisce la progettazione di un grande quartiere dedicato all’otium e alle attività ludiche, protetto dalle nuove mura tardoantiche. Gli scavi dell’Università di Udine, ricollegandosi a quelli condotti dalla locale Soprintendenza archeologica nel corso del ‘900, hanno permesso di ricostruire un edificio “fuori scala” anche per una città importante come Aquileia, con elevati superiori a 10 metri e con un’estensione pari a circa 2,5 ettari (25.000 metri quadrati), paragonabile quindi solo alle grandi terme imperiali pubbliche costruite a Roma da Caracalla, Diocleziano e Costantino stesso.

Un intervento di questa portata dimostra la volontà di Costantino di dotare anche Aquileia, come le altre città divenute residenze imperiali alla fine del III sec. d.C. (Milano, Trier, Arles, Antiochia), di una magnifica struttura termale, adeguata al suo ruolo strategico e degna della frequentazione della corte. Nelle terme imperiali l’edificio era organizzato intorno a un asse centrale formato dalle aule che offrivano di bagnarsi consecutivamente in acque di temperature diverse (calda, tiepida e fredda) secondo il modello di pratica balneare peculiare del mondo romano.

Gli scavi hanno finora rivelato: ampi saloni pavimentati con raffinati mosaici policromi geometrici e figurati o in tarsie di pietre e marmi multicolori; l’enorme frigidarium, con le sue grandi vasche per i bagni freddi; la parte centrale della grande piscina (natatio) lastricata in cui si poteva nuotare; gli ambienti del settore nord-orientale, dove è ancora visibile la sovrapposizione di tre fasi successive con i rispettivi mosaici; alcuni ambienti riscaldati del settore occidentale.

In particolare, dalla grande aula nord provengono i mosaici di eccezionale pregio oggi conservati al Museo archeologico nazionale di Aquileia e raffiguranti soggetti marini e atletici. Ossia i temi caratteristici della decorazione delle terme imperiali, dove erano previsti spazi per agonismo e training sportivo. Le didascalie in greco provano l’intervento di raffinate maestranze di origine greca/orientale.

I rifacimenti e i restauri dei mosaici dimostrano che le terme costantiniane continuarono a vivere fino al termine del V secolo d.C., anche oltre il famoso saccheggio di Attila del 452 d.C. Tra il VI e il VII secolo i ruderi furono riutilizzati a fini abitativi da piccoli nuclei familiari e, dopo il definitivo abbandono e il crollo delle volte e degli elevati, diventarono una grande cava di pietre e mattoni da riutilizzare come materiale da costruzione o da cuocere per ottenere calce.

La spoliazione dei resti delle terme si intensificò in età tardomedievale (XIII-XIV secolo), eliminando tutti i resti delle strutture fino alle fondazioni dei muri. Così si trasformò completamente l’aspetto del sito, che prima dell’inizio degli scavi moderni si presentava come un campo coltivato, proprio grazie a grandi riporti di terra disposti sulle macerie.

Oggi delle terme si conservano quindi solo i pavimenti e le trincee di spoliazione dei muri depredati fino all’età moderna.

Varie zone dell’edificio sono state indagate più volte nel corso del XX secolo dalla locale Soprintendenza e da alcuni dei nomi più noti dell’archeologia aquileiese: Giovanni Battista Brusin (1922-1923); Luisa Bertacchi (1961); Paola Lopreato (1980-1987). “Gli scavi del ‘900 – spiegano Cadario e Rubinich – furono però pubblicati solo in parte e soltanto con le nuove metodologie di scavo stratigrafico, introdotte nel 2002 con l’inizio delle attività dell’Ateneo udinese, è stato possibile ricollegare i nuovi ritrovamenti a quelli pregressi e indagare non solo le fasi di epoca romana, ma anche quelle che dal Medioevo a oggi hanno reso il sito un paesaggio prevalentemente agricolo”.

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Sloveno online da casa

Po slovensko raje spet od doma
Sloveno on line anche senza restrizioni

Dopo il successo della scorsa edizione, con una trentina di partecipanti dalla Valcanale e in alcuni casi anche da altre zone della provincia di Udine in cui lo sloveno è tradizionalmente parlato, torna il corso di sloveno on line organizzato dall’Associazione/Združenje don Mario Cernet.

Lunedì, 7 novembre, alle 17.30 inizierà la lezione introduttiva. Anche per il 2022-2023 il corso si svolgerà sulla piattaforma Zoom. I partecipanti saranno suddivisi in due gruppi, uno per principianti, che si riunirà ogni lunedì alle 17.30, ed uno per progrediti, che si riunirà ogni mercoledì sempre dalle 17.30. Eventuali modifiche saranno concordate al momento del primo incontro. Ogni lezione durerà due ore.

Il contributo per l’iscrizione al corso, comprensivo di quota associativa, è di 40 euro. Per iscriversi o avere ulteriori informazioni, fino al 18 novembre si può telefonare al 335 6485878 o al 333 2960001 oppure scrivere un’e-mail all’indirizzo di posta elettronica zdruzenje.cernet@gmail.com.

La docente del corso sarà Eva Gregorčič, che è anche insegnante alla scuola primaria di Bled.

Dopo avere organizzato per diversi anni il corso di sloveno in presenza, anche in collaborazione con l’Università del tempo libero di Tarvisio, l’Associazione Cernet ha deciso di prediligere la modalità on line anche su impulso di quasi tutti i corsisti che hanno partecipato all’ultima edizione. Una modalità di svolgimento introdotta per fare fronte alle limitazioni per prevenire la diffusione del nuovo coronavirus, quindi, si è rivelata per molti più comoda anche grazie alla diminuzione delle limitazioni organizzative in presenza. Anche questa edizione del corso si svolge col patrocinio del Comune di Malborghetto-Valbruna/Naborjet-Ovčja vas e il sostegno dell’Unione culturale cattolica slovena-Zskp e dell’Ufficio governativo della Repubblica di Slovenia per gli sloveni d’oltreconfine e nel mondo. (Luciano Lister)

V ponedeljek, 7. novembra, ob 17.30 bo prvo spletno srečanje v okviru tečaja slovenščine za odrasle, ki ga tudi letos organizira Združenje don Mario Cernet. Po uspešni izvedbi iz lanskega leta, se bo tečaj tudi v letošnjem letu odvijal po spletu in sicer na platformi Zoom. Kolikor kaže, bo spet precej udeležencev in bodo verjetno tudi letos morali oblikovati dve skupini z različnimi urniki – za začetnike in nadaljevalce. Predvidoma se bodo začetniki spletno sestali ob ponedeljkih ob 17.30; nadaljevalci pa ob sredah ob 17.30. Članarina v Združenje z vpisnino je 40 evrov. Za več informacij in vpisovanja lahko pokličete telefonsko številko 335 6485878 ali 333 2960001 ter pišete sporočilo na e-naslov elektronske pošte zdruzenje.cernet@olga1246

https://www.dom.it/po-slovensko-raje-spet-od-doma_sloveno-on-line-anche-senza-restrizioni/

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Malore improvviso, morto a 48 anni lo scrittore Corrado Premuda — StopCensura

TRIESTE — Corrado Premuda è morto per un malore a soli 48 anni. Autore di numerosi libri tra cui “Un pittore di nome Leonor”, “La Barcolana dei bambini” e la Guidina di Trieste, era anche collaboratore alle pagine culturali de Il Piccolo. Lo scrive il Messaggero Veneto. Oltre al ricordo del quotidiano locale, per il quale scriveva da […]

Malore improvviso, morto a 48 anni lo scrittore Corrado Premuda — StopCensura
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Torna la Summer School di LeggiAmo 0-18

Lunedì 29 agosto, nel cuore di Udine, la seconda edizione della giornata di alta formazione dedicata a docenti, bibliotecari, operatori e amministratori

21 agosto 2022

Lunedì 29 agosto, nel cuore di Udine, si terrà la seconda edizione della Summer School di LeggiAmo 0-18: una giornata di alta formazione dedicata a docenti, bibliotecari, operatori e amministratori regionali.

Un’esperienza formativa di aggiornamento, per parlare insieme di libri, promozione della lettura, strategie di lettura inclusiva, nuovi punti di vista. La Summer School di LeggiAmo 0-18, progetto di promozione alla lettura della Regione, è resa possibile grazie alla virtuosa sinergia dei Partner del progetto: CCM – Consorzio Culturale del Monfalconese (coordinatore), CSB – Centro per la Salute del Bambino Onlus, Damatrà Onlus, AIB Associazione Italiana Biblioteche – Sezione FVG, Fondazione Radio Magica Onlus. L’edizione 2022 è realizzata in collaborazione con il Comune di Udine, la Biblioteca Civica “Vincenzo Joppi” e i Civici Musei di Udine e con il patrocinio di Anci Fvg.

Tre i percorsi formativi proposti (Linea Arancio, Linea Verde e Linea Argento) che traggono ispirazione dalle parole chiave del Manifesto di LeggiAMO 0-18: “tempo”, “libri”, “relazione” e “comunità”. I relatori che condurranno i percorsi formativi sono nomi di spicco nel panorama della formazione, dell’infanzia, della ricerca e della promozione della lettura: Amanda Saksida, ricercatrice e docente; Giorgio Tamburlini, pediatra, esperto di salute dell’infanzia; Fabio Geda scrittore ed educatore; Grazia Gotti autrice, pedagogista e formatrice; Tiziana Mascia ricercatrice e pedagogista; Federico Scarioni scrittore e consulente letterario…continua a leggere https://www.ilfriuli.it/articolo/cultura/torna-la-summer-school-di-leggiamo-0-18/6/270439

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Mirana Likar: Obrobno / Perifericamente — La casa di carta – Papirnata hiša

Il racconto di Mirana Likar tradotto da Sergio Sozi / Zgodba Mirane Likar,ki jo je v italijanščino prevedel Sergio Sozi Perifericamente (2° classificato al Concorso indetto dall’ARS) Aniela Ferrari, nella camera al piano di sopra, sta seduta sul bordo del letto ricoperto di bianco. Si dondola un po’ avanti e indietro perché questo la fa […]

Mirana Likar: Obrobno / Perifericamente — La casa di carta – Papirnata hiša
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Pordenone: martedì 16 agosto Aleksandar Zograf disegna i Balcani allo spazio UAU!

È dedicato al graphic journalism, alla musica e ai Balcani, l’appuntamento del 16 agosto alle 21 allo spazio UAU! in via Brusafiera. Aleksandar Zograf, uno dei maggiori esponenti a livello internazionale di graphic journalism, presenta il suo ultimo libro: “Il quaderno di Radoslav e altre storie della Seconda guerra mondiale”, uscito per la casa editrice torinese 001 Edizioni. Durante la serata ai disegni dal vivo di Zograf, proiettati sul grande schermo, si aggiungerà la narrazione di Alessandro Gori, viaggiatore instancabile, innamorato dei Balcani. Parole e immagini saranno accompagnate dalla musica dei Fior delle bolge, trio dalle melodie minimali e sotterranee. L’evento è realizzato da Cinemazero in collaborazione con il Pordenone Docs Fest, il Museo della Jugoslavia e Vicino/Lontano Mont.

Aleksandar Zograf, pseudonimo di Saša Rakezic, nato a Pančevo, allora Jugoslavia, nel 1963, si è fatto conoscere in Italia con il volume “Lettere dalla Serbia” del 1999, scritto durante i bombardamenti della NATO nel suo paese. Da allora, Zograf collabora con Internazionale e Osservatorio Balcani e Caucaso Transeuropa. “Il quaderno di Radoslav” raccoglie storie ambientate nella Seconda guerra mondiale, in una prospettiva europea e transnazionale. Uno dei trenta episodi a fumetti, da cui ha origine il titolo, è ispirato a un diario che l’autore ha acquistato in una bancarella di libri usati, un quaderno in cui Radoslav, ragazzo di cui si conosce solo il nome, narra tutta la sua vita, dalla nascita nel 1915 a una frase rimasta sospesa a metà, nel 1944. Il libro comprende un lungo racconto autobiografico, “Breve storia di famiglia”, che racchiude la vita del nonno di Zograf, che aderì al movimento della resistenza durante la Seconda guerra mondiale e fu poi imprigionato a Goli Otok, l’isola in cui erano internati i prigionieri politici, in Dalmazia.

Gli appuntamenti con i viaggi allo spazio UAU! continuano il 23 agosto con “Afghan cycles”, documentario di Sarah Menzies, su un gruppo di donne coraggiose che, in Afghanistan, hanno provato a lottare per i propri diritti. Alla proiezione, in collaborazione con FIAB Pordenone Aruotalibera e Amnesty International Italia, interviene Francesca Monzone, giornalista sportiva.

Le serate di UAU!, tutte a ingresso libero, sono organizzate grazie al sostegno del Comune di Pordenone, della Regione FVG e di FriulOvest banca.

In caso di pioggia l’evento si tiene a Cinemazero.

Per rimanere sempre aggiornati sul programma, consultate:

www.cinemazero.it

www.pordenonedocsfest.it

e le relative pagine Facebook o Instagram

Fonte: Comunicato stampa

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Inaugurazione mostra Un architetto cosmopolita in patria, Raimondo D’Aronco in Friuli

Verrà inaugurata VENERDì 22 LUGLIO ALLE ORE 18 presso il Salone del Parlamento del Castello la mostra “Un architetto cosmopolita in patria, Raimondo D’Aronco in Friuli”.In occasione dei novant’anni della morte di Raimondo D’Aronco, la città di Udine rende omaggio all’architetto con un’esposizione che ne racconta linguaggio e percorso creativo soffermandosi sulle opere friulane, realizzate e non, progetti a volte dimenticati a fronte di una valorizzazione dell’esperienza in Turchia.
Alcune sale della Galleria d’Arte Antica e del Museo Friulano della Fotografia, ospiteranno una mostra realizzata dal Comune di Udine, Civici Musei con il sostegno della Fondazione Friuli e il patrocinio dell’Ordine degli Architetti della Provincia di Udine, a cura di Diana Barillari e Silvia Bianco.La maggior parte dei disegni esposti sono conservati nell’archivio D’Aronco delle Gallerie del Progetto, un fondo molto prezioso che raccoglie la gran parte dei lavori dell’architetto, ma che non può prescindere dalla collaborazione con altri enti conservatori di disegni daronchiani.
È presentato inoltre il mobilio dello studio D’Aronco recentemente donato al Comune dalla famiglia D’Aronco Chizzola…continua https://www.eventifvg.it/evento/inaugurazione-mostra-un-architetto-cosmopolita-in-patria-raimondo-daronco-in-friuli/

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Il matrimonio «more sclabonico» tutelava i diritti della donna

BENECIA, RESIA E VALCANALE

Il progetto dell’associazione don Eugenio Blanchini «Tradizioni comuni e particolari degli sloveni in Italia»

Il matrimonio «more sclabonico» tutelava i diritti della donna

In caso di rottura dell’unione il marito era obbligato ad assicurare alla moglie il necessario per vivere. Il fidanzamento di Simone e Caterina celebrato con il cerchio, la stella, le monete e la frittata. Le consuetudini «sclaboniche» riconosciute dal Capitolo di Cividale

Giorgio Banchig

Abbiamo visto che il matrimonio tra Margherita di Cravero e Benedetto di Stregna fu stipulato secondo le consuetudini praticate anche in altre regioni europee. Tuttavia in alcuni documenti del XVI secolo si legge di sposalizi celebrati more sclabonico o juxta / secundum ritum et consuetudines sclabonicas, cioè secondo i costumi, le consuetudini, le usanze, le tradizioni, i riti slavi / sloveni, che il Capitolo di Cividale riconosceva come perfettamente legittimi.

Cito alcuni casi. Mons. Lorenzo Billino, arcidiacono del Capitolo, intimò al vicario di San Leonardo pre Andrea, pena la sospensione a divinis, di benedire in chiesa gli anelli di Ermacora di Postregna e della sua consorte e di compiere le altre usanze ( et alia consueta) secundum Ritum et Consuetudines Sclabonicas.

La lettera dell’arcidiacono è datata 9 gennaio 1560 (Cracina 1978: 205).

L’anno seguente il Tribunale del Capitolo di Cividale discusse del caso dei coniugi Ermacora Petrussa e Anna contro Simone Tomcig di Mezzana il quale rivendicava una precedente promessa di matrimonio da parte di Anna.

L’arcidiacono chiamò il vicario di San Leonardo e dispose «che debba, ad un’eventuale richiesta di Ermacora e di Anna quali coniugi legittimi, sposarli ( copulare) juxta consuetudinem sclabonicam nel migliore dei modi». Evidentemente i due coniugi erano già sposati secondo l’antica tradizione per verba de praesenti per cui la benedizione del vicario non risanava una situazione illegittima, ma valeva come «coronamento cerimoniale » (Nazzi, San Leonardo: 371). Nel 1562 si presentò davanti ai giudici del Capitolo di Cividale Marina fu Pietro Golobich di Clastra, assistita dall’avvocato Orifilo, contro Giovanni Vo(g)rich de dicto loco. Marina serviva in casa di Giovanni «quale serva» e «a seguito di promessa di matrimonio, lui la violò e ne nacque un figlio maschio che lui nutrì per un anno». Ora, poiché non intendeva regolarizzare l’unione né accollarsi il mantenimento del figlio, l’avvocato gli propose il dilemma: o la sposava o le garantiva, «per la deflorazione come sopra documentata, una dote adeguata juxta mores et consuetudines sclabonicas, con le spese processuali a suo carico » (Nazzi, San Leonardo: 372). Lo stesso anno si discusse il caso di Paolo Benedeucigh di Tolmino di Sotto e di Ursa figlia di Simone Rutar di San Leonardo.

L’avvocato Filitino, a nome di Ursa, chiese all’arcidiacono in montibus di confermare l’esistenza del matrimonio tra i due, in quanto «Paolo ha promesso di sposarla e di non voler condurre altra donna al di fuori di lei». Raccomandò di semplificare ed accelerare la procedura, perché «Ursa è povera e bisognosa e non ha altro modo per garantirsi, costretta a ricorrere a questo rimedio come unico possibile, promettendo di stare al giuramento che presterà il suddetto Paolo». Questi contestò le premesse e negò la validità della procedura fin lì condotta dal vicario di Tolmino e si disse disposto a prestare il giuramento richiesto da Ursa: «giurò nelle mani dell’arcidiacono, toccando le sacre scritture, di dire la verità: mai ha promesso di prenderla in moglie». Ursa allora, «stando il fatto incontestabile che l’ha deflorata e dormì nel letto con lei, come risulta dalla confessione della controparte, insiste perché venga condannato a fornirle la dote secondo il costume sclabonico» (Nazzi, San Leonardo: 373).

Concludo questa breve elencazione dei matrimoni more sclabonico con un caso davvero singolare che risale al 1597. Nonostante fossero trascorsi ben 34 anni dall’emanazione dei decreti del Concilio di Trento sul matrimonio, l’arcidiacono del Capitolo di Cividale dichiarò valido il fidanzamento tra i due contraenti. Riporto in lingua corrente la narrazione con cui Michele Blasutig di «S. Petro de Sclabonibus», che funse da «celebrante », raccontò in prima persona le particolarità del rito.

«Ero già andato a letto quando Girolamo Cozzeano venne a chiamarmi chiedendomi

di celebrare “una cerimonia di promissione di matrimonio”. Uscii dalla camera e andai nella stanza di sotto, dove c’erano Simone Chiacigh di Jainich, Girolamo Cozzeano e sua moglie, sorella di Caterina del fu Ermacora (Macor) Calligaro di San Pietro che bevevano. Girolamo e suo figlio Stefano mi ordinarono “di far la parolla della promissione” di matrimonio tra Simone Chiacigh e Caterina Calligaro e “io ho fatto in questo modo che vi dico”. Rivoltomi prima a Simone e poi a Caterina chiesi se avessero pensato ad altre persone con le quali sposarsi. Entrambi mi dissero di no, al che domandai a Simone “se voleva pigliar la presente Catharina tale quale era per sua bona moglie, il quale mi rispose che sì che io la voglio per moglie”. Poi domandai a Caterina “se era contenta pigliar detto Simon tal qual era per homo da bene, la qual rispose sì”. Ad entrambi ripetei la stessa domanda per tre volte ed essi risposero sempre affermativamente. “Et fatto questo io feci un cerchietto in Terra” ed ho girato intorno a Caterina. Dopo che si dettero la mano, li feci sedere dentro il cerchio segnandolo “con la stella, secondo l’usanza nostra”. Simone cominciò a gettare nel grembo di Caterina “una quantità di denaro secondo il dovere del sposo sin che li accetta, il qual Simon li gettò, ma non so la quantità”. Tornai a letto lasciando i promessi sposi e i convitati “che bevevano et fecero la frettaia ordinaria che tutti la mangiarono” » (Cracina 1978: 206). Un rito davvero curioso, carico di enigmi, di interrogativi e per molti versi inedito rispetto a quelli già trattati. Angelo Cracina tentò di spiegare alcuni particolari. «Il fatto di dire per tre volte, il cerchio segnato per terra attorno ai due, l’averli segnati con la stella […] denotano che il rito era profondamente religioso, seppur superstizioso ». E ancora: «A nessuno può sfuggire che anche la “frettaia” (frittata) fatta di tante uova, doveva avere un significato in rapporto alla famiglia numerosa. Questo pasto era detto anche “licof” (v. Acta Capituli, fascicolo VII, quaderno 7, anno 1604)». Riguardo alla stella l’autore ricorda che «anticamente era usata nelle cerimonie liturgiche; era in ferro o in legno, in forma di cerchio, con molte candele. Affissa ad una specie di manico piuttosto lungo, veniva portata anche nelle processioni» (Cracina 1978: 207, 208, 246). Ritengo che le interpretazioni di Cracina vadano approfondite e rilette con uno studio comparato che collochi gesti e oggetti di questo singolare rito in un orizzonte più vasto.

Ma, in realtà, quali erano gli elementi distintivi del fidanzamento e del matrimonio more sclabonico? Dai testi citati si deduce che quella definizione aveva una duplice attribuzione. La prima riguardava i riti: la benedizione degli anelli e l’adempimento di altre consuetudini da parte del sacerdote in chiesa e poi il complesso e misterioso cerimoniale compiuto in casa di Michele Blasutig. Si può dedurre che nel XVI secolo nella nostra Slavia esisteva un rito sclabonico di celebrare gli sponsali che potevano essere officiati da un laico (il fidanzamento) o da un prete (il matrimonio).

In secondo luogo il mos sclabonicus regolava il rapporto giuridico / economico tra uomo e donna: in caso di rottura dell’unione il fidanzato / marito era obbligato a provvedere al sostentamento della fidanzata / moglie qualora i due avessero avuto rapporti sessuali e non solo se dall’unione fossero nati figli.

S’è visto, infatti, che Paolo da Tolmino fu obbligato a fornire a Ursa di San Leonardo la dote necessaria per la sua sopravvivenza anche in assenza di prole.

Oggi diremmo che la normativa prevista dal mos sclabonicus era «femminista» ante litteram perché tutelava la donna assicurandole il necessario per vivere e riconoscendole, dopo secoli, quei diritti previsti oggi, dalle leggi sull’assegno di mantenimento o di divorzio in caso di rottura del matrimonio.

Ma denota anche l’estrema precarietà della posizione sociale della donna in quanto totalmente dipendente o dal padre o dal marito.

(56– continua)

dal Dom del 30 giugno

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07/06/22 – “Le nozze di Figaro” di W.A.Mozart – m° A.Svab, dir.- m° F.Zanin, piano – “Ragazzi all’Opera” – Acc.Lirica S.ta Croce – Auditorium Scuola “Giovanni XXIII” – Tricesimo (UD) — Lampione di Trieste

Vi informiamo che martedì 07/06/22, ore 17.00, presso Auditorium Scuola “Giovanni XXIII” – Tricesimo (UD), vi sarà l’esecuzione dell’opera “Le nozze di Figaro” di W.A.Mozart, m° A.Svab, direttore, m° F.Zanin, piano, nell’ambito del progetto “Ragazzi all’Opera”, organizzato dall’Accademia Lirica Santa Croce. dettagli su https://www.facebook.com/RagazziAllOpera/photos/pcb.3171078559770893/3171078259770923/ “Non scegli Tu la musica! E’ la Musica che sceglie TE!”buona […]

07/06/22 – “Le nozze di Figaro” di W.A.Mozart – m° A.Svab, dir.- m° F.Zanin, piano – “Ragazzi all’Opera” – Acc.Lirica S.ta Croce – Auditorium Scuola “Giovanni XXIII” – Tricesimo (UD) — Lampione di Trieste