Mese: novembre 2022
Aquileia, le grandi terme svelano due settori inesplorati
Un vasto settore con vasche, mosaici e fontane e un’ampia area destinata ai bagni di acqua calda portati alla luce nelle ultime ricerche dell’Università di Udine
28 novembre 2022
Due nuove “perle” delle Grandi Terme romane di Aquileia, costruite nella prima metà del IV secolo d.C., sono state portate alla luce negli ultimi scavi fatti dalla missione archeologica dell’Università di Udine nell’area. Si tratta di un vasto ambiente che ospitava grandi vasche, mosaici e fontane e di un’ampia area dell’abside (ambiente semicircolare) del calidarium, la zona destinata ai bagni in acqua calda. Le indagini si sono concentrate in due settori del grande edificio termale: quello a sud est, dove lo scavo prosegue da alcuni anni, e quello a ovest, in un settore nuovo, nell’area degli ambienti riscaldati.
Le ricerche sono state condotte su concessione ministeriale, in accordo con la Soprintendenza Archeologia Belle Arti e Paesaggio del Friuli Venezia-Giulia e in collaborazione scientifica con Cristiano Tiussi, direttore di Fondazione Aquileia, che ha assicurato il sostegno economico allo scavo.
Il cantiere-scuola
La campagna di scavi è stata condotta, a settembre e ottobre, da un gruppo di ricerca del dipartimento di Studi umanistici e del patrimonio culturale, diretto da Matteo Cadario, coadiuvato da Marina Rubinich. Alle ricerche hanno partecipato 25 studentesse e studenti dei corsi di laurea triennale, in Beni culturali, e magistrale, in Archeologia e Culture dell’antichità, e della Scuola interateneo di specializzazione in beni archeologici. “Tutte le attività di scavo, documentazione e lavaggio dei materiali – sottolineano Cadario e Rubinich – sono state svolte anche allo scopo di preparare al meglio i futuri archeologi ad agire in un cantiere”.
Vasche e fontane
Nel settore nord-orientale è stato messo in luce un ambiente di oltre 200 metri quadrati che, nella prima fase delle terme (IV secolo d.C.), ospitava grandi vasche e forse fontane. L’elemento più impressionante è la poderosa fondazione dell’ambiente in calcestruzzo e grossi frammenti di colonne reimpiegate, prevalentemente in marmo cipollino. Sulla struttura, spessa oltre un metro e 60 centimetri, poggiavano vari strati di mattoni intorno a una vasca circolare di otto metri di diametro. Vasche, nicchie e pareti dovevano essere decorate con tessere musive in vetro colorato e lastre sagomate di marmi pregiati, i cui resti si trovano nei riempimenti della fase successiva.
Tra la fine del IV e gli inizi del V secolo, infatti, la vasca circolare fu colmata e l’ambiente ricoperto da un mosaico a grandi tessere con un reticolo di quadrati contenenti grandi fiori stilizzati. Si creò così un nuovo vano rettangolare, lungo 15 metri, che fa parte di una importante ristrutturazione non solo di questo lato nord, ma anche di quello sud, a ben 140 metri di distanza.
Le sistematiche spoliazioni delle strutture murarie condotte a partire dal tardo Medioevo hanno asportato tutti i muri fino a notevole profondità, rendendo molto difficile la lettura delle diverse fasi. Tuttavia, qualche raro documento dell’antico lusso dei frequentatori delle Grandi Terme si è salvato. Tra questi un grano di collana in vetro a stampo con una minuscola testina femminile databile, per la sua acconciatura, al III secolo d.C., rinvenuto proprio in uno di questi riempimenti. Lo scavo in quest’area è stato guidato da Marina Rubinich, con il supporto di un piccolo nucleo di professionisti, studenti e specializzandi affidato a Luciana Mandruzzato.
Il calidarium
Nel nuovo scavo nel settore occidentale, che ha interessato un’area di circa 150 metri quadrati, è stata messa in luce quasi completamente l’ampia abside del calidarium, la parte delle terme destinata ai bagni in acqua calda e di vapore, con cui l’edificio si concludeva. Dell’abside dissestata dai crolli delle volte e priva del muro di fondo asportato successivamente, si conserva la massiccia preparazione del pavimento, caratterizzata dall’inserimento di centinaia di lastrine in marmi colorati. L’identificazione del calidarium è assicurata dalla presenza del doppio sistema di riscaldamento a ipocausto (pavimento sopraelevato sostenuto da pilastrini lapidei) e a parete (intercapedine formata da grandi tubuli fittili rettangolari). Entrambi erano alimentati dalla circolazione di aria calda proveniente dai forni.
Intorno all’abside è stata poi riconosciuta la presenza di una piattaforma in laterizi, ampiamente spoliata, pertinente ad ambienti di servizio, tra cui almeno due praefurnia (i forni dove si bruciava la legna), gli imbocchi dei quali sono stati parzialmente messi in luce. La presenza di spessi livelli di bruciato nell’ipocausto e il deterioramento dei pilastrini dovuto al forte calore dimostrano che il calidarium è stato utilizzato a lungo. E questo nonostante le dimensioni e gli alti costi del suo funzionamento, il che costituisce un’ulteriore prova della vitalità dell’Aquileia tardoantica. Lo scavo nell’area, organizzato come cantiere-scuola, è stato eseguito da Chiara Bozzi e Federica Grossi, sotto la diretta supervisione di Matteo Cadario. “La scoperta dell’abside – spiega Cadario, docente di archeologia classica – consentirà in futuro di allargare lo scavo allo scopo di mettere in luce integralmente l’area riscaldata dell’edificio”.
“Le Grandi Terme con la loro imponenza rappresentavano un tratto distintivo della grandezza di Aquileia in età imperiale – spiega la Soprintendente del Friuli Venezia Giulia, Simonetta Bonomi –. Indagarne i resti e comprenderne lo sviluppo funzionale e costruttivo, come sta da tempo facendo l’Università di Udine, costituiscono sia una meritoria e importante impresa scientifica sia il presupposto imprescindibile per una futura valorizzazione”.
“I risultati dello scavo delle Grandi Terme sono per la Fondazione Aquileia – sottolinea il direttore, Cristiano Tiussi – di grande importanza perché la prospettiva della valorizzazione di questo straordinario ed enorme edificio dovrà rappresentare, per tutti noi, una sfida ineludibile in un futuro non troppo lontano”.
L’Università di Udine ad Aquileia
La presenza dell’Ateneo friulano alle Grandi Terme è ormai consolidata da due decenni e nelle campagne di scavo annuali si sono formati oltre 600 studenti di archeologia. Dal 2016, anno della prima concessione di scavo dal Ministero, allora dei beni e delle attività culturali, fu avviata una nuova e proficua collaborazione con la Soprintendenza e la Fondazione Aquileia, che aveva appena acquisito l’area in gestione.
Storia e caratteristiche dell’edificio
Le Grandi Terme di Aquileia, o Thermae felices Constantinianae, come sono chiamate nell’iscrizione di una base di statua di Costantino rinvenuta nell’area, furono costruite (o completate) per volontà di Costantino stesso nel corso dei primi decenni del IV secolo d.C. Allora Aquileia era uno dei porti principali del Mediterraneo e ospitava spesso l’imperatore. La loro collocazione nella zona sud-occidentale della città, nella località detta poi Braida Murada adiacente a Via 24 Maggio, tra l’anfiteatro e il teatro, suggerisce la progettazione di un grande quartiere dedicato all’otium e alle attività ludiche, protetto dalle nuove mura tardoantiche. Gli scavi dell’Università di Udine, ricollegandosi a quelli condotti dalla locale Soprintendenza archeologica nel corso del ‘900, hanno permesso di ricostruire un edificio “fuori scala” anche per una città importante come Aquileia, con elevati superiori a 10 metri e con un’estensione pari a circa 2,5 ettari (25.000 metri quadrati), paragonabile quindi solo alle grandi terme imperiali pubbliche costruite a Roma da Caracalla, Diocleziano e Costantino stesso.
Un intervento di questa portata dimostra la volontà di Costantino di dotare anche Aquileia, come le altre città divenute residenze imperiali alla fine del III sec. d.C. (Milano, Trier, Arles, Antiochia), di una magnifica struttura termale, adeguata al suo ruolo strategico e degna della frequentazione della corte. Nelle terme imperiali l’edificio era organizzato intorno a un asse centrale formato dalle aule che offrivano di bagnarsi consecutivamente in acque di temperature diverse (calda, tiepida e fredda) secondo il modello di pratica balneare peculiare del mondo romano.
Gli scavi hanno finora rivelato: ampi saloni pavimentati con raffinati mosaici policromi geometrici e figurati o in tarsie di pietre e marmi multicolori; l’enorme frigidarium, con le sue grandi vasche per i bagni freddi; la parte centrale della grande piscina (natatio) lastricata in cui si poteva nuotare; gli ambienti del settore nord-orientale, dove è ancora visibile la sovrapposizione di tre fasi successive con i rispettivi mosaici; alcuni ambienti riscaldati del settore occidentale.
In particolare, dalla grande aula nord provengono i mosaici di eccezionale pregio oggi conservati al Museo archeologico nazionale di Aquileia e raffiguranti soggetti marini e atletici. Ossia i temi caratteristici della decorazione delle terme imperiali, dove erano previsti spazi per agonismo e training sportivo. Le didascalie in greco provano l’intervento di raffinate maestranze di origine greca/orientale.
I rifacimenti e i restauri dei mosaici dimostrano che le terme costantiniane continuarono a vivere fino al termine del V secolo d.C., anche oltre il famoso saccheggio di Attila del 452 d.C. Tra il VI e il VII secolo i ruderi furono riutilizzati a fini abitativi da piccoli nuclei familiari e, dopo il definitivo abbandono e il crollo delle volte e degli elevati, diventarono una grande cava di pietre e mattoni da riutilizzare come materiale da costruzione o da cuocere per ottenere calce.
La spoliazione dei resti delle terme si intensificò in età tardomedievale (XIII-XIV secolo), eliminando tutti i resti delle strutture fino alle fondazioni dei muri. Così si trasformò completamente l’aspetto del sito, che prima dell’inizio degli scavi moderni si presentava come un campo coltivato, proprio grazie a grandi riporti di terra disposti sulle macerie.
Oggi delle terme si conservano quindi solo i pavimenti e le trincee di spoliazione dei muri depredati fino all’età moderna.
Varie zone dell’edificio sono state indagate più volte nel corso del XX secolo dalla locale Soprintendenza e da alcuni dei nomi più noti dell’archeologia aquileiese: Giovanni Battista Brusin (1922-1923); Luisa Bertacchi (1961); Paola Lopreato (1980-1987). “Gli scavi del ‘900 – spiegano Cadario e Rubinich – furono però pubblicati solo in parte e soltanto con le nuove metodologie di scavo stratigrafico, introdotte nel 2002 con l’inizio delle attività dell’Ateneo udinese, è stato possibile ricollegare i nuovi ritrovamenti a quelli pregressi e indagare non solo le fasi di epoca romana, ma anche quelle che dal Medioevo a oggi hanno reso il sito un paesaggio prevalentemente agricolo”.
“Il giorno in cui finì l’estate” di Sebastijan Pregelj
Per i tipi di Bottega Errante (BEE) di Udine è appena uscito, in traduzione italiana di Michele Obit, il romanzo “Il giorno in cui finì l’estate” (Premio Ivan Cankar 2020) di Sebastijan Pregelj. Ne pubblichiamo il Capitolo 8. / Pri videmski založbi Bottega Errante je pravkar izšel roman Sebastijana Preglja V Elvisovi sobi v italijanskem prevodu Mihe Obita kot Il giorno in cui finì l’estate. Leta 2020 je prejel Cankarjevo nagrado. Objavljamo 8. poglavje.
Il nostro Tito è morto, c’è scritto sulla lavagna quando il lunedì mattina entro in classe. So già tutto. Mamma e papà mi hanno raccontato. Mi hanno raccontato in modo che capissi, poi ho dovuto ripetere alcune cose con loro. «Perché tu possa ricordare» ha detto papà, «e perché non ti lasci scappare qualche idiozia».
Domenica pomeriggio, sul tardi, sono arrivati lo zio, la zia e Martin. Con Martin siamo rimasti quasi sempre nella mia stanza. Quando siamo usciti, gli adulti si sono zittiti.
«Ci guardano come se avessimo fatto qualcosa di sbagliato» ha detto Martin. «Forse perché è morto Tito. Che ne so. Non è che sia colpa nostra».
«Certo che no» ho assentito, e con Superman nella mano destra ho preso a correre per la stanza, mentre Martin sul pavimento muoveva il robot di plastica che aveva ricevuto dall’Italia. «Questo è Droid» mi istruiva. «Droid di Guerre stellari. Hai visto Guerre stellari?».
«No» ho fatto con il capo.
«Peccato. Devi guardarlo. A me, mamma e papà prima non me l’hanno permesso, poi però papà mi ha portato al cine. Che film!».
Martin mi ha raccontato per bene tutta la trama.
Quando sono arrivato alla porta e da tempo non stavo più seguendo Martin, che ora stava parlando di tutt’altro, ho sentito papà dire che era preoccupato. «Già prima mi preoccupava. Non è un segreto che il vecchio da tempo non governava il Paese. Lo facevano altri, i generali e Jovanka. Ma adesso che non c’è, be’, adesso non sarà semplice. Il vecchio metteva ordine. Nessuno osava nemmeno fiatare».
«Può essere che ci occuperanno i russi» ha detto lo zio.
«Finiscila di spaventare» ha detto papà, «quali russi! Non ci sarà nessun russo».
«E l’Ungheria e la Cecoslovacchia?» non la smetteva lo zio. «Là sono arrivati con i carri armati».
«Gli americani non gli permetterebbero mai di superare il confine jugoslavo» ha detto papà. «Se succedesse, sarebbero di colpo sul loro confine».
«Vedi» ha sospirato lo zio, «il vecchio sapeva navigare tra gli uni e gli altri. Ma adesso è cambiato tutto. Lui non c’è, fine. Speriamo solo che non venga la guerra».
«Pensi che possa venire la guerra?» ho chiesto a papà quando lo zio, la zia e Martin, dopo le notizie della sera, se ne sono andati.
«Non preoccuparti». Papà mi ha accarezzato la testa. «Non ci sarà nessuna guerra. Avete sentito quello che stavamo dicendo?».
«No» ho scrollato il capo. «Ho sentito qualcosa».
«Hai sentito qualcosa» ha sorriso papà. «Ascolta» mi ha messo a sedere, «ricordati di questo: Tito era il presidente della nazione. E il maresciallo…».
Ora sono in classe e guardo la scritta bianca sulla lavagna verde: Il nostro Tito è morto. Sono seduto vicino a Rok, che sulle guance ha vari cerotti. Mi racconta dell’iniezione e dei punti. Gli chiedo se gli ha fatto male.
«Ovvio che mi ha fatto male» ha annuito. «Ma non tanto. Ho stretto i denti. Tra una settimana mi tolgono i punti».
«Super!». Sono entusiasta. «Se vorrai far parte dei pirati, ti prenderanno già da subito. Solo che non dovrai dire loro che ti sei ferito su una recinzione. Devi dire che sono graffi da combattimento».
«Dirò questo» annuisce Rok. Poi restiamo zitti, perché in classe entra la maestra.
Nella mano destra tiene un fazzoletto con cui si asciuga gli occhi lacrimanti, nella sinistra un grosso libro dalla copertina rossa con il titolo stampato a caratteri dorati. La maestra Nada sta piangendo. Anche alcune compagne piangono, e tra loro Ana. La guardo e non capisco. Tito era il nostro presidente, va bene, ma non era nostro nonno o nostra nonna, uno zio o una zia. Perché allora piangono?
La maestra inspira profondamente alcune volte, poi con voce tremante dice che oggi è un giorno molto triste.
«Parleremo del compagno Tito, della sua vita e di cosa ha fatto. Ma molte cose le saprete già». Ci guarda. «Bene» apre il libro, «probabilmente ancora non tutto. Se sentite qualcosa che sapete già, va bene lo stesso, perché ve lo ricorderete meglio. È importante che ricordiate, è importante che sappiate. Per oggi e per domani». Poi inizia a raccontare del ragazzino della Sotla[1].
Durante l’intervallo rimaniamo ai banchi, anche la maestra rimane in classe.
La lasciamo solo quando scocca l’ora del pranzo. Ci allineiamo lungo la parete, una fila che si snoda fino agli ultimi banchi. Aspettiamo che la maestra si alzi, vada alla porta, la apra e ci lasci uscire. Diversamente dagli altri giorni, non ci accalchiamo, non corriamo e non ci superiamo, ma camminiamo uno accanto all’altro.
Quando Rok e io ci sediamo a tavola, lui mi urta con il gomito e fa un cenno verso il ritratto di Tito, appeso alto alla parete.
«Devo raccontarti una cosa» dice. «Ma è un segreto».
«Ah, sì?». Lo guardo incuriosito.
«Ascolta». Rok si china su di me. «Tito continua a guardarmi. Non importa dove mi siedo, mi fissa continuamente. Posso andare in un angolo della sala da pranzo oppure in un altro. Solo non so, adesso che è morto, se continua a vedere».
Sollevo lentamente lo sguardo e fisso il ritratto di Tito. La sua foto è appesa in ogni classe. Nella nostra c’è solo il viso. Nella sala di musica Tito è seduto al pianoforte. Nel laboratorio di tecnica è accanto a un macchinario. Nel corridoio, dove c’è il gabinetto di storia, sono appese delle fotografie dei tempi della guerra. Quella che mi ricordo meglio è Tito con un cane. Il cane si chiamava Luks e aveva salvato la vita a Tito. Sto in silenzio alcuni istanti, poi a Rok rispondo che lo so. Con Peter già tempo prima ci eravamo resi conto che Tito ci guardava. Mi sposto un po’ a destra, poi a sinistra, per controllare se è ancora così. Tito mi guarda. Il suo viso rimane inalterato, mentre gli occhi fissano direttamente me. Rok afferra il cucchiaio e inizia a mangiare la zuppa. Continua però a guardarmi: «Andremo anche nelle altre classi. Cercheremo tutte le foto e verificheremo se anche in quelle ci guarda». Portiamo i vassoi, con i piatti quasi intatti, fino al banco. Fosse un giorno comune, lì ci aspetterebbe la maestra Nada. Ci chiederebbe perché non abbiamo mangiato quasi niente e ci direbbe che nel mondo ci sono tante persone affamate e solo per loro dovremmo dimostrare più rispetto nei confronti del cibo. Ma oggi è un giorno particolare. Al banco non c’è nessuno dei maestri, perciò lasciamo lì senza problemi i vassoi e corriamo lungo il corridoio verso le aule.
Rok apre con cautela le porte delle classi prime e seconde. Le aule sono quasi vuote, gli alunni sono a pranzo. Se c’è qualcuno in classe chiude velocemente la porta, mentre nelle aule vuote entriamo come se fossero la nostra. Sul momento rimaniamo cauti, poi però ci muoviamo senza un filo di paura.
In ogni aula prima controlliamo quale fotografia sta appesa sopra la lavagna. Se non è uguale alle precedenti, ci collochiamo dritti di fronte a essa. Poi ci muoviamo a destra e a sinistra, arrivando alla finestra, alle pareti e all’armadio. Ci accorgiamo che Tito ci osserva sempre. Anche se ci accovacciamo dietro ai banchi e alle sedie, sa dove stiamo. Non appena riappariamo, ci guarda.
Quando siamo nella nostra aula, facciamo lo stesso che nelle precedenti. Poi vengo folgorato da un’idea: ognuno di noi deve andare a un’estremità dell’aula.
«Voglio proprio vedere chi guarderà, se facciamo così!».
«È vero!». Rok è entusiasta. Ci mettiamo al centro dell’aula, poi Rok inizia a spostarsi verso la finestra, io verso la porta.
«Continua a guardarmi!» dice Rok ad alta voce.
«Anche me!».
Quando sono vicino alla porta, questa improvvisamente si apre.
«Cosa fai qui?» mi chiede la maestra Nada. Rabbrividisco e scuoto la testa.
«Niente» rispondo, e mi sposto al mio banco.
«Venite qui» dice quando raggiunge la cattedra. Sento brividi in tutto il corpo. Ho la sensazione che quello che abbiamo fatto sia sbagliato e che la maestra sappia tutto. Ho paura che ci scriva una nota per i genitori nel libretto o, ancora peggio, che chieda che la mamma o il papà o ancora meglio tutti e due vadano a parlare con lei. Con passi brevi mi dirigo alla cattedra, Rok invece è già alla lavagna, come se si aspettasse un elogio.
«Bene, cosa pensate del maresciallo Tito?» ci chiede la maestra.
«Ci guarda sempre» la sparo.
«Come?». La maestra è sorpresa.
«Qualsiasi cosa facciamo, sempre ci osserva e tutto vede» chiarisco.
«Cosa vuoi dire?». La donna aggrotta la fronte.
«Venga» faccio due passi indietro e guardo la fotografia di Tito. «Adesso mi sta guardando. E se mi metto vicino alla finestra, continua a guardarmi. E se corro all’altro lato della stanza, mi guarda ancora!».
«Vedi» sorride la maestra Nada, «per questo ciò che fai è importante. Per questo è importante come ti comporti. Devi essere un pioniere, sempre d’esempio e buon compagno! Perché Tito ti guarda. Tutti ci guarda. Tutto vede».
Il pomeriggio mi siedo con mamma e papà davanti al televisore. Guardiamo il treno blu che trasporta il presidente defunto da Lubiana a Belgrado, dove lo sotterreranno. Lungo la tratta ci sono migliaia di persone. La telecamera a volte si ferma sui volti del soldato, del poliziotto, dell’operaia, dell’operaio che in questo giorno non lavorano, ma stanno lungo i binari e attendono che passi il treno per poter salutare per l’ultima volta il maresciallo che ha unito i popoli jugoslavi e li ha guidati sulla strada della liberazione dall’occupazione nazista e fascista, accompagnandoci verso il futuro luminoso che è durato fino a quel terribile momento, domenica, alle tre e quattro minuti, quando il suo grande cuore si è fermato. Sullo schermo le donne si asciugano gli occhi, gli uomini guardano cupamente, sui volti di tantissimi scorrono le lacrime.
«Tito ci guarda tutti» dico.
«Come?». Papà si volta sorpreso verso di me.
«Tito ci guarda tutti» ripeto.
«Da dove l’hai presa questa?» chiede. Così gli racconto di come io e Rok siamo andati di classe in classe, e alla fine anche della maestra Nada, che ci ha dato ragione. Tito ci guarda.
fonte https://wordpress.com/read/feeds/25870481/posts/4407535467
Vignetta di Uber

L’ex Cancelliera Merkel in un’intervista allo Spiegel rivela oggi quanto siano stati inutili i suoi tentativi di evitare la guerra. Nessuno in realtà voleva osservare gli accordi di Minsk e lei, ormai alla fine del suo mandato, come un’anatra zoppa, non contava più nulla dal punto di vista politico né per Putin né per la UE. Stavo facendo una vignetta con una colomba/Merkel quando mi sono accorto di averla già praticamente fatta nel 2014.
Ah la vecchiaia !
https://gianfrancouberblog.blogspot.com/2014/07/la-pace-e-una-colomba-zoppa.html
Banksy, il ‘grande comunicatore’ in mostra a Trieste

Trieste si prepara ad accogliere i visitatori alla grande mostra dedicata a Banksy, uno degli artisti più popolari e controversi del panorama contemporaneo. The Great Communicator. Banksy – Unauthorized exhibition, a cura di Gianni Mercurio e organizzata da PromoTurismoFvg in collaborazione con Madeinart, è in programma dal 25 novembre 2022 al 10 aprile 2023 al salone degli Incanti di Trieste. In questa esposizione, si intende condurre l’attenzione per la prima volta su un aspetto fondamentale del writer di Bristol, non ancora indagato da altre mostre e che probabilmente ha avuto un ruolo chiave nel suo percorso artistico: la sua capacità di grande comunicatore, ruolo quanto mai attuale anche alla luce delle sue opere recentemente rivendicate in Ucraina. È proprio dalla sua abilità di comunicare e di utilizzare in modo unico i canali di comunicazione del suo tempo, dai social media alle vere performance live per raccontare la sua arte, che nasce la necessità di questa mostra. Il percorso espositivo si compone di cinque sale con oltre una sessantina di opere originali che ripercorrono il notevole lavoro di Banksy: dalle sue radici e ispirazioni, fino ai giorni nostri.
L’esposizione
La mostra si apre con una prima sala con opere di artisti e di movimenti a cui l’autore si è ispirato, tra cui Keith Haring, Andy Wharol e Blek le Rat, oltre ai poster del maggio francese dai quali Banksy ha ripreso il minimalismo, la comunicazione delle rivolte e l’uso dello stencil, ma anche le opere legate ai situazionisti e al concetto di comunicazione di massa. Infine i graffiti della New York anni Ottanta, fondamentali per i murales. La seconda sala propone una riproduzione dello studio di lavoro di Banksy con i materiali utilizzati oltre all’esposizione di opere che fanno riferimento alla società britannica con l’obiettivo di comunicare una forte critica al suo paese come un iconico ritratto di Winston Churchill con una cresta punk.
Si continua con l’opera intitolata Devolved Parliament che rappresenta il parlamento inglese composto da scimmie al posto dei deputati, e ancora, alcune opere con i topi, animali che spesso tornano nelle opere di Banksy e che assumono una dimensione metaforica. La terza sala si focalizza invece sulle proteste e sul capitalismo dove è possibile ammirare tra le varie opere il celebre lanciatore di fiori. Proseguendo nella quarta sala ci si sofferma sul tema della guerra e della violenza. La sua è una posizione umana a 360 gradi, più che un impegno politico è una lotta culturale contro la guerra e contro le logiche che la producono. I suoi messaggi sono spesso un invito alla resistenza, cioè un’opposizione alle cause, come unico modo per scongiurarne gli effetti.
In questa sezione troviamo esposta la celebre opera Napalm con la bambina vietnamita in fuga dal bombardamento mano nella mano con due mascotte dell’entertainment nel mondo contemporaneo, oltre a un’area dedicata al racconto delle sue più celebri performance come il Walled Off Hotel a Betlemme situato di fronte al muro che separa Israele e Palestina, un vero e proprio hotel che ospita opere d’arte di Banksy e installazioni, e poi un negozio, ironicamente denominato Wallmart, evocando la multinazionale statunitense proprietaria della catena di negozi al dettaglio Walmart, che fornisce i materiali necessari ai clienti che vogliono dipingere sul muro adiacente. Spazio anche alla musica, che ha rappresentato per Banksy un aspetto importante della sua carriera di artista e della sua stessa vita con 37 copertine originali di dischi. Nella quinta e ultima sala, attraverso un’installazione multimediale, saranno proiettati video sul lavoro dell’artista e i murales nella loro collocazione originale.https://www.wired.it/banksy-mostra-trieste-grande-comunicatore/
Proverbio friulano
Il proverbio friulano della settimana

di Vita nei Vita Nei Campi
“Se al plûf a Sante Bibiane, al plûf par un mês e une setemane”, ovvero se piove il giorno di Santa Bibiana (il 2 dicembre) pioverà per un mese e una settimana
Colletta alimentare 2022

Oggi 26 novembre in tutta Italia viene fatta la colletta alimentare per le persone bisognose.Nei punti vendita ci saranno i volontari che distribuiranno i sacchetti dove mettere gli alimenti.Anch’io stamattina ho donato,come ò doveroso per chi può.
“La nostra è terra di grande e profonda solidarietà e quella del Banco alimentare è una storia di straordinario successo. Sono qui per testimoniare la riconoscenza della Regione, a nome del presidente Massimiliano Fedriga, per questa esperienza no profit che è in espansione non soltanto perché si basa sulla solidarietà dei nostri cittadini che donano alimenti di prima necessità, ma anche dei tanti volontari che impegnano il loro tempo libero per dare una mano al prossimo”.
Lo ha sottolineato l’assessore regionale alle Finanze Barbara Zilli intervenendo nella sede del Banco alimentare Fvg, accompagnata dal presidente Paolo Olivo e dal vicesindaco del Comune di Pasian di Prato – ove ha sede il quartier generale della associazione non profit – Ivan Del Forno e dagli assessori Juli Peressini e Caterina Gravina. “Vedendo la soddisfazione negli occhi di queste persone si capisce – ha aggiunto Zilli, rivolgendosi alla squadra di volontari – come il loro impegno, che sottrae di certo ore della giornata alle loro famiglie e al loro tempo libero, venga ricambiato dal piacere di lavorare per il bene della comunità. Il mio ringraziamento personale va alla loro sensibilità e l’augurio è che questa squadra, già così numerosa, si ampli sempre di nuove forze solidali”.
L’Associazione Banco Alimentare del Friuli Venezia Giulia è un’organizzazione non profit che fa parte della Rete Banco Alimentare, costituita da 21 organizzazioni distribuite sul territorio nazionale e coordinate dalla Fondazione Banco Alimentare. Opera in tutto il territorio del Friuli Venezia Giulia, nella provincia di Belluno, nella provincia di Treviso e nella porzione orientale della provincia di Venezia.
L’operatività si declina attraverso una partnership con le industrie alimentari, i produttori locali, la grande distribuzione e la ristorazione organizzata che donano le proprie eccedenze alimentari. I volontari del magazzino prendono quindi in carico, stoccano e preparano gli alimenti da distribuire. Le circa 350 strutture caritative accreditate ritirano una volta al mese gli alimenti presso il magazzino, e parte del cibo fresco – con maggiore frequenza a seconda della disponibilità – dai supermercati e dalle mense del territorio in accordo col Banco Alimentare del FVG. I volontari delle strutture caritative donano a loro volta il cibo alle persone bisognose da loro assistite. https://www.ilfriuli.it/articolo/tendenze/-banco-alimentare-una-storia-di-grande-successo-/13/274428
La risoluzione del Parlamento Europeo per dichiarare la Russia uno Stato sponsor del terrorismo: l’insensata scelta di chi ha votato contro o si è astenuto
Il 23 novembre c’è stato un voto importante del Parlamento Europeo, con cui si è mosso un passo nel riconoscere la Russia come Stato sponsor del terrorismo. Usiamo questa formulazione perché, come vedremo, questa definizione manca nel quadro giuridico dell’Unione Europea.

Nella risoluzione non legislativa approvata a larghissima maggioranza, ci sono prima di tutto vari punti che sottolineano la gravità inaudita della condotta russa in Ucraina. Qualcosa che è emerso sin dalle prime fasi dell’invasione su larga scala iniziata a febbraio, e su cui via via si sono accumulati resoconti, rapporti, dossier.
Nel quadro normativo richiamato a inizio risoluzione, si menziona l’esplicita violazione della Convenzione di Ginevra, per quanto riguarda la “Protezione generale dei beni di carattere civile” – e non è la prima volta che viene richiamata la sua violazione dal Parlamento Europeo. Ma è anche espressamente menzionata la Convezione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio. Convenzione in vigore per Russia e Ucraina, e sulla cui violazione da parte della Russia si sono già avuti negli scorsi mesi pronunciamenti in vari paesi, tra cui Canada, Irlanda, Estonia e Lituania. Lo stesso Parlamento Europeo aveva menzionato la Convezione per la prevenzione e la repressione del delitto di genocidio in una risoluzione del maggio scorso (“Lotta contro l’impunità per i crimini di guerra in Ucraina”). ..continuahttps://www.valigiablu.it/russia-stato-sponsor-terrorismo/
GIORNATA INTERNAZIONALE PER L’ELIMINAZIONE DELLA VIOLENZA CONTRO LE DONNE CONTRO LE DONNE
In Italia viene uccisa una donna ogni tre giorni,basta,basta!
La Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne è una ricorrenza istituita dall’Assemblea generale delle Nazioni Unite, tramite la risoluzione numero 54/134 del 17 dicembre 1999. L’Assemblea generale delle Nazioni Unite ha designato il 25 novembre come data della ricorrenza e ha invitato i governi, le organizzazioni internazionali e le ONG a organizzare in quel giorno attività volte a sensibilizzare l’opinione pubblica sul problema della violenza contro le donne
La data della Giornata internazionale per l’eliminazione della violenza contro le donne segna anche l’inizio dei “16 giorni di attivismo contro la violenza di genere” che precedono la Giornata mondiale dei diritti umani il 10 dicembre di ogni anno, promossi nel 1991 dal Center for Women’s Global Leadership (CWGL) e sostenuti dalle Nazioni Unite, per sottolineare che la violenza contro le donne è una violazione dei diritti umani. Questo periodo comprende una serie di altre date significative, tra cui il 29 novembre, il Women Human Rights Defenders Day (WHRD), il 1º dicembre, la Giornata mondiale contro l’AIDS e il 6 dicembre, anniversario del massacro del Politecnico di Montreal, quando 14 studentesse di ingegneria furono uccise da un venticinquenne che affermò di voler “combattere il femminismo”. Il colore arancione è utilizzato come colore di identificazione della campagna, ogni anno concentrata su un tema particolare. Dal 2014 ha assunto come slogan “Orange the World”.
In molti paesi, come l’Italia, il colore esibito in questa giornata è il rosso e uno degli oggetti simbolo è rappresentato da scarpe rosse da donna, allineate nelle piazze o in luoghi pubblici, a rappresentare le vittime di violenza e femminicidio. L’idea è nata da un’installazione dell’artista messicana Elina Chauvet, Zapatos Rojos, realizzata nel 2009 in una piazza di Ciudad Juarez, e ispirata all’omicidio della sorella per mano del marito e alle centinaia di donne rapite, stuprate e assassinate in questa città di frontiera nel nord del Messico, nodo del mercato della droga e degli esseri umani.L’installazione è stata replicata successivamente in moltissimi paesi del mondo, fra cui Argentina, Stati Uniti, Norvegia, Ecuador, Canada, Spagna e Italia. La campagna in Italia viene in particolar modo modo portata avanti dal Centri antiviolenza e dalle Associazioni di donne impegnate nell’ambito della Violenza contro le donne.
L’indagine ISTAT del 2014 ha rilevato che il 31,5% delle donne italiane tra i 16 e i 70 anni ha subìto nel corso della propria vita una qualche forma di violenza fisica o sessuale. Un rapporto del 2018 relativo alle molestie sul luogo di lavoro ha messo in luce che nel corso della loro vita, 1.100.000 donne (pari al 7,5% delle lavoratrici) ha subito ricatti sessuali per ottenere un lavoro, per mantenerlo o per ottenere progressioni nella carriera.
Confrontando gli omicidi volontari di donne nel 2018 (133 omicidi, pari allo 0,43 per 100.000 donne), l’ISTAT ha collocato l’Italia fra i paesi europei con una più bassa percentuale, dietro solo a Grecia e Cipro; ai primi posti Lettonia e Lituania. È stato tuttavia evidenziato come mentre la serie storica rilevi un notevole calo degli omicidi di uomini nel corso di 25 anni (da 4,0 per 100.000 maschi nel 1992 a 0,8 nel 2016), il numero di donne uccise registrate nello stesso periodo (da 0,6 a 0,4 per 100.000 femmine) rimanga perlopiù stabile.
Nell’opuscolo pubblicato dalla Direzione Centrale Anticrimine del Dipartimento della Pubblica Sicurezza, a sostegno della campagna “…questo NON È AMORE” per aiutare le vittime di violenza a vincere la paura di denunciare, i dati parlano di un aumento delle vittime di sesso femminile dal 2016 (68%) al 2019 (71%). Sia le vittime che gli autori di questi reati sono in alta percentuale di nazionalità italiana: nel 2018 erano italiani il 73% dei soggetti segnalati all’autorità giudiziaria dalle forze di polizia, nel 2019 il dato è salito al 74%. Nel 2018-2019 tra le donne straniere sono le romene a denunciare più di altre di aver subito maltrattamenti in famiglia, percosse, violenze sessuali e atti persecutori. Nel 2018 l’82% degli autori di omicidi femminili è un familiare.
Proverbio

Il proverbio friulano della settimana
di Vita nei Vita Nei Campi
“A Sante Catarine el frêt al busine” ovvero A Santa Caterina, il 25 novembre, il freddo “rumoreggia” fischia, urla.